La lavorazione della Ginestra

PROCEDIMENTO ARCAICO DI LAVORAZIONE DELLA GINESTRA

La storia della pianta, le tecniche e le fasi del processo di lavorazione della ginestra.

cenni botanici

Ginèstra s.f. (Lat. genèsta o genìsta). Nome italiano di diverse piante della famiglia leguminose Papiglionate, appartenenti ai generi Genista, Spartium, Sorathamnus, ecc. Lo Spartium iunceum, in italiano ginestra, ginestra comune, ginestra odorosa o di Spagna, è un arbusto alto fino a 5 metri, con rami verdi giunchiformi, cilindrici, foglie semplici e scarse che cadono all’inizio dell’estate, fiori profumati in racemi con corolla grande giallo-dorata, legume lineare schiacciato con parecchi semi ovoidei. Le vermene contengono in abbondanza fibre che possono essere separate in fiocchi (ginfiocchi) con la macerazione e servire quale materia tessile. Vegeta benissimo nei luoghi aridi e nelle parti più calde d’Italia (fino a 1000 m.s.m.), nonché in tutto il mediterraneo.

un po' di storia

L’origine dell’utilizzo della pianta di ginestra, così come l’allevamento del baco da seta per ricavarne fibra tessile, si perde nella notte dei tempi. Secondo Muratori, Zanon, Betti, Makudel, Reinesio e gli stessi Aristotele, Plinio e Seneca, come ci riporta Francesco Gera nel suo libro “sulla trattura della seta” del 1859, i Cinesi e gli Indiani sin dal 3870 A.C. traevano materia per tessere dalla Ginestra (spartium junceum) e da molte altre piante. Anche i Fenici, i Cartaginesi e i Romani la utilizzarono per farne corde, reti da pesca e vele per le navi.

Successivamente anche i profughi Albanesi, perseguitati dai Turchi intorno al 1500, venendosi a stabilire nell’Italia Meridionale, portarono oltre ai tanti riti civili e religiosi anche quello della lavorazione della ginestra, dalla quale traevano fibra da tessere.

In Italia la lavorazione di questo arbusto ebbe il massimo sviluppo nel periodo fascista, in virtù dell’autarchia. In tutto il mezzogiorno d’Italia sorsero numerosi ginestrifici che lavoravano tonnellate di vermene di ginestra per gli usi più disparati. Appena finita la guerra, però, anche la ginestra cessò di essere prodotta e degli opifici non ne restò traccia.

In Calabria, tuttavia, specie nelle famiglie più povere, continuò ancora per qualche anno ad essere utilizzata per realizzare tessuti di ogni sorta, come copriletti, lenzuola, tovagliati e indumenti vari. Ben presto, però, anche nella regione più arretrata d’Italia quest’usanza scomparve del tutto, finanche dalla memoria storica.

Verso la fine degli anni 80, ispirato dai racconti di mia madre che in gioventù, insieme alle sorelle, si era dedicata per molti anni alla lavorazione di questa generosa pianta, ne ripresi la lavorazione. Dalla narrazione appresi che nella famiglia di mia madre (composta da 5 sorelle e due fratelli), a cavallo dell’ultima guerra mondiale ed in pieno periodo bellico, si cuciva, si tesseva e si filava oltre alla ginestra anche la seta, la canapa, la lana ed il lino. Nella lavorazione di tali fibre, ma principalmente della ginestra (che mi piace ricordare come “fibra dei poveri” perché vegetava spontaneamente e quindi gratuita), avevano raggiunto un grado di perfezionamento talmente alto che mia madre riusciva a filare un filo tanto sottile e uniforme da utilizzare anche per la cucitura ad ago. Tutti gli anni, in estate, sia per passione che per professione, ma anche per mantenere viva una tradizione tessile familiare, mi dedico alla raccolta e alla lavorazione della ginestra. Il tutto avviene spesso nelle stesse campagne dell’antico borgo di Bocchigliero (CS), dove tanti anni fa si recavano la mamma e le zie per dedicarsi a questo antico, consueto e utile rito.

TECNICHE DI LAVORAZIONE DELLA GINESTRA

Il processo di lavorazione della ginestra che ho reditato da mia madre è lo stesso che si utilizzava in antichità, senza l’uso di energia elettrica e di alcuna macchina, nè tantomeno di sostanze chimiche. Un sistema di lavoro tutto manuale e a zero tasso d’ inquinamento che ancora oggi porto avanti con molta passione e interesse.

DALLA PIANTA AL TESSUTO: LE FASI DEL PROCESSO

RACCOLTA

Si effettua da luglio a settembre, periodo di piena maturità delle vermene che coincide con l’inizio della sfioritura. Si scelgono le vermene più grosse, più lunghe e meno ramificate, poiché sono più ricche di fibre e dalle quali si ottengono i filamenti più lunghi.

RACCOLTA

Si effettua da luglio a settembre, periodo di piena maturità delle vermene che coincide con l’inizio della sfioritura. Si scelgono le vermene più grosse, più lunghe e meno ramificate, poiché sono più ricche di fibre e dalle quali si ottengono i filamenti più lunghi.

BOLLITURA

Si fa in grossi pentoloni con acqua e cenere per almeno un’ora, allo scopo di iniziare il processo di degradazione della lignina che tiene cementate le fibre, grazie agli alcali contenuti nella cenere. Inoltre la bollitura favorisce una considerevole perdita di sostanza verdognola contenuta nelle vermene per effetto della funzione clorofilliana, contribuendo così a sbiancare la fibra.

BOLLITURA

Si fa in grossi pentoloni con acqua e cenere per almeno un’ora, allo scopo di iniziare il processo di degradazione della lignina che tiene cementate le fibre, grazie agli alcali contenuti nella cenere. Inoltre la bollitura favorisce una considerevole perdita di sostanza verdognola contenuta nelle vermene per effetto della funzione clorofilliana, contribuendo così a sbiancare la fibra.

MACERO

Dopo la bollitura, le vermene legate a fasci si tengono a macerare per circa otto giorni in acqua stagnante o corrente (macerazione batteriologica), affinché lo scollamento tra le fibre e della corteccia dal canapulo continui ulteriormente. Tale fenomeno avviene grazie all’intervento dei batteri anaerobici che si sviluppano e, aggredendole, solubilizzano le sostanze pectiche che cementano le fibre.

MACERO

Dopo la bollitura, le vermene legate a fasci si tengono a macerare per circa otto giorni in acqua stagnante o corrente (macerazione batteriologica), affinché lo scollamento tra le fibre e della corteccia dal canapulo continui ulteriormente. Tale fenomeno avviene grazie all’intervento dei batteri anaerobici che si sviluppano e, aggredendole, solubilizzano le sostanze pectiche che cementano le fibre.

SCORTICATURA

Consiste nel distendere gli steli macerati su un letto di sabbia fine, cospargerli con la stessa sabbia e strofinarli energicamente con i piedi a mo’ di balletto, sia per staccare la pellicola esterna sia per separare la corteccia dall’anima interna.

SCORTICATURA

Consiste nel distendere gli steli macerati su un letto di sabbia fine, cospargerli con la stessa sabbia e strofinarli energicamente con i piedi a mo’ di balletto, sia per staccare la pellicola esterna sia per separare la corteccia dall’anima interna.

SFIBRATURA

Attraverso questa operazione, preceduta da uno sciacquo delle vermene per pulirle dalla sabbia, si separa definitivamente la scorza dalla parte legnosa, tenendo l’estremità più grossa degli steli in una mano e strappando la corteccia con l’altra.

SFIBRATURA

Attraverso questa operazione, preceduta da uno sciacquo delle vermene per pulirle dalla sabbia, si separa definitivamente la scorza dalla parte legnosa, tenendo l’estremità più grossa degli steli in una mano e strappando la corteccia con l’altra.

BATTITURA E LAVAGGIO

Si effettua battendo con robuste mazze di legno sulla corteccia sistemata a mucchietti su grossi massi o ceppi, intervallando il ritmo della battitura con frequenti risciacqui e strizzature per purgare, raffinare e sbiancare la fibra privandola dalle parti legnose, dalla cuticola e dal verde della clorofilla.

BATTITURA E LAVAGGIO

Si effettua battendo con robuste mazze di legno sulla corteccia sistemata a mucchietti su grossi massi o ceppi, intervallando il ritmo della battitura con frequenti risciacqui e strizzature per purgare, raffinare e sbiancare la fibra privandola dalle parti legnose, dalla cuticola e dal verde della clorofilla.

CARDATURA

La fibra lavata e asciugata si presenta aggrovigliata e ancora mista a scorie legnose e cuticulari. Con la cardatura, che può essere fatta pazientemente a mano o con appositi pettini, si puliscono, parallelizzano e selezionano le fibre per la filatura.

CARDATURA

La fibra lavata e asciugata si presenta aggrovigliata e ancora mista a scorie legnose e cuticulari. Con la cardatura, che può essere fatta pazientemente a mano o con appositi pettini, si puliscono, parallelizzano e selezionano le fibre per la filatura.

FILATURA

Per la filatura ci si avvale di due semplicissimi e rudimentali strumenti: la conocchia, che serve a contenere la fibra, e il fuso, che con movimento rotatorio attorciglia le fibre su sè stesse filandole all’infinito. La ginestra si può filare anche con il filarello, dove il movimento rotatorio del fuso ad alette è generato da una pedaliera. Tale attrezzo, che rimane sempre di carattere artigianale – manuale, aiuta a velocizzare la lavorazione e a rendere più regolare il diametro del filato.

FILATURA

Per la filatura ci si avvale di due semplicissimi e rudimentali strumenti: la conocchia, che serve a contenere la fibra, e il fuso, che con movimento rotatorio attorciglia le fibre su sè stesse filandole all’infinito. La ginestra si può filare anche con il filarello, dove il movimento rotatorio del fuso ad alette è generato da una pedaliera. Tale attrezzo, che rimane sempre di carattere artigianale – manuale, aiuta a velocizzare la lavorazione e a rendere più regolare il diametro del filato.

TESSITURA

Il filato di ginestra, ottenuto con il procedimento descritto e senza alcuna sofisticazione, si presenta alquanto rigido e irregolare di diametro, la superficie pelosa, la mano aspra, secca e ruvida. Ma grazie a queste peculiarità la ginestra conferisce ai tessuti particolari qualità che ben si adattano all’uso a cui sono destinati: si pensi ai tendaggi, al guanto per la doccia e l’esfoliazione dell’epidermide, ai tappeti, ai tessuti per la cucina, agli accessori per la moda; se opportunamente nobilitata, la ginestra può essere impiegata anche per realizzare capi d’abbigliamento. Il filo di ginestra, utilizzabile sia in trama che in ordito, si può tessere sia su telai manuali che meccanici, si può lavorare anche ai ferri e all’uncinetto.

TESSITURA

Il filato di ginestra, ottenuto con il procedimento descritto e senza alcuna sofisticazione, si presenta alquanto rigido e irregolare di diametro, la superficie pelosa, la mano aspra, secca e ruvida. Ma grazie a queste peculiarità la ginestra conferisce ai tessuti particolari qualità che ben si adattano all’uso a cui sono destinati: si pensi ai tendaggi, al guanto per la doccia e l’esfoliazione dell’epidermide, ai tappeti, ai tessuti per la cucina, agli accessori per la moda; se opportunamente nobilitata, la ginestra può essere impiegata anche per realizzare capi d’abbigliamento. Il filo di ginestra, utilizzabile sia in trama che in ordito, si può tessere sia su telai manuali che meccanici, si può lavorare anche ai ferri e all’uncinetto.

TINTURA NATURALE

Realizzata esclusivamente con pigmenti naturali, provenienti per la maggior parte dal mondo vegetale reperibili in loco: liquirizia, fiori di ginestra, ricci e corteccia di castagno, cipolla di Tropea, mallo e foglie di noce, edera, more di gelso, papavero, mirto, alloro, melograno, ebbio. Il procedimento è relativamente semplice ma accurato. La prima fase consiste nell’estrazione della tintura madre dalle sostanze tintorie, attraverso la macerazione, ove necessaria e la bollitura. Successivamente si procede con la tintura vera e propria che generalmente avviene per bollitura, ma anche a freddo. Si adopera acqua di mare, perché, essendo salata, fissa meglio il colore. Per mordenzare, oltre al sale da cucina e all’aceto, si adoperano anche sali minerali.

TINTURA NATURALE

Realizzata esclusivamente con pigmenti naturali, provenienti per la maggior parte dal mondo vegetale reperibili in loco: liquirizia, fiori di ginestra, ricci e corteccia di castagno, cipolla di Tropea, mallo e foglie di noce, edera, more di gelso, papavero, mirto, alloro, melograno, ebbio. Il procedimento è relativamente semplice ma accurato. La prima fase consiste nell’estrazione della tintura madre dalle sostanze tintorie, attraverso la macerazione, ove necessaria e la bollitura. Successivamente si procede con la tintura vera e propria che generalmente avviene per bollitura, ma anche a freddo. Si adopera acqua di mare, perché, essendo salata, fissa meglio il colore. Per mordenzare, oltre al sale da cucina e all’aceto, si adoperano anche sali minerali.